venerdì 22 agosto 2014

Perchè educare i figli al sentire

Stiamo un po' tutti tornando dalle vacanze o qualcuno ci andrà a breve, c'è chi è stato al mare, altri in montagna, in ogni caso ognuno di noi ha approfittato di una bellezza dalla natura per diminuire il proprio stress, per cogliere dei momenti di felicità, per staccare la spina. Personalmente preferisco la montagna, nasconde molti insegnamenti, metafore o messaggi. Mi sono chiesta quale educazione sia necessaria per far sentire alle nuove generazioni questo sentire. 

A scuola, troppo spesso, la natura ci viene spiegata e mostrata come qualcosa da analizzare e da esplorare rafforzando il nostro individualismo e vedendo essa come una cosa che ci appartiene, ma in modo materialistico. E' lontana da noi, noi non siamo fatti della sua stessa "natura", noi andiamo oltre e qui educhiamo a quelle permissioni che purtroppo si vedono in giro. Poi magari ogni tanto nella formazione scolastica si inserisce qualche progetto di Educazione Civica in cui il bambino deve imparare a memoria e razionalmente che non deve gettare le carte delle caramelle per terra. Niente di più illogico, se la natura non ha nulla a che vedere con me, se io la posso analizzare e modificare a mio piacimento perché rispettarla? Ma allora quale tipo di educazione può davvero portare l'uomo a sentirsi parte della natura e portarci a capire quali scelte compiere? Quale modo può riportare l'uomo a rivedere se stesso e Dio (la Coscienza suprema, l'assoluto, il divino, ciò che ci accomuna ed è infinito, chiamatelo come volete) in ciò che ha davanti? Credete che sia davvero una cosa così lontana dalla vostra quotidianità? Credo che basti guardarci intorno per capire che il modo in cui stiamo educando al rispetto di ciò che abbiamo attorno, cioè attraverso l'enumerazione di regole e lo studio su testi scritti di cosa è il mare o un fiume, non abbia portato a grandi risultati. In molte parti del nostro Paese non si riesce ancora a comprendere l'importanza della raccolta differenziata, ad esempio, oppure non ci sentiamo responsabili delle scelte che facciamo quando compriamo una cosa o l'altra. 
Voglio riportarvi ora una frase di Cheikh Khaled Bentounes in quanto credo sia il nocciolo dell'educazione possibile per cambiare:

C'est notre capacité de discernement qui peut alors nous délivrer des représentations illusoires et rétablir en nous la vérité à condition de contribuer, par étapes successives, a l'évil de nos facultés sensitives jusqu'à ce qu'elles recueillent. Les réalités matérielles ne sont plus alors appréhendées sensiblement a partir de leur forme extérieure mais, subtilement, à partir de leur essence.[ Thérapie de l'âme di Khaled Bentounès– 2 feb 2011, p. 56]

Diventa necessario ritornare ad un'educazione che punti a quelli che sono i nostri "mezzi" di conoscenza primaria che ci permettono di discernere ciò che abbiamo davanti. Troppa scuola è costruita solo per la mente vista come un contenitore da riempire. Se noi tornassimo invece all'educazione dei sensi, alla riscoperta del nostro corpo, del suo modo di percepire, scopriremmo anche cosa è in grado di percepire. Bentounes parla proprio dell'essenza delle cose. Se il bambino viene abituato a guardare, a sentire, a toccare, a gustare facendo silenzio con un certo tipo di mente e accettando ciò che gli viene comunicato dall'esterno riuscirà a sviluppare quell'intuizione necessaria non alla negazione della nostra razionalità, ma al suo rafforzarsi. Le implicazioni su questo modo di percepire l'educazione sono infinite. Non solo dalle scelte che poi si faranno a livello ambientale o dal rispetto che si avrà per gli animali, ma anche la visione del corpo altrui (nel pensiero sufista spiegato da Bentounes si aggiunge anche un altro senso, quello sessuale), e non di meno il sentire il sacro che sta in tutte le cose e quindi l'esistenza di Dio. Il bambino nasce perfetto, lui ha tutti i mezzi per poter conoscere queste cose, ma dipende da noi quale educazione scegliere per lui. Non sono solo discorsi filosofici, questi mi sono stati solo necessari per farvi capire da quale teoria stavo partendo. Ciò che diventa necessario è un provare a fermarci per prima noi. Davanti ad uno spettacolo che ci offre la natura proviamo a fare silenzio con la nostra mente, educhiamo i nostri sensi a farci da ponte e non solo ad analizzare. Educhiamoli a scoprire la verità delle cose e non solo ciò che ci appare per poi dare un giudizio partendo dal nostro individualismo. 

Ed è così che a volte la natura diventa l'unico luogo necessario in cui possiamo andare per ritrovare quello che già eravamo. Vi lascio con una frase da un autore italiano a mio avviso davvero ispirante, qui lui partì per il suo "viaggio" in montagna:

Non era tanto un bisogno di partire, quanto di tornare; non di scoprire una parte sconosciuta di me quanto di ritrovarne una antica e profonda, che sentivo di avere perduto. (Il Ragazzo Selvatico - Quaderno di Montagna , Paolo Cognetti)


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